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WP_20141102_017Sono entrato nelle procedure ormai, stupendomi di quanto una cosa sembri difficile all’inizio, e poi invece esista una cosa che si chiama imparare. Il fatto è che se parliamo di computer, software per tenere ordinate le cose e Disneyland, scatta una spinta aggiuntiva se non di passione, quantomeno di ansia da prestazione.

Credo anche di essere entrato più in confidenza con alcuni degli abbonati ricorrenti, in un reciproco processo di riconoscimento visivo. Già stringo qualche mano, un altro mese e combinerei soluzioni di partite per far giocare insieme gli amici.

E comunque mi è venuta voglia di giocare. Se lavorassi qui sempre prenderei lezioni e mi metterei a giocare, tanto guadagnerei un sacco di soldi e potrei comprarmi bastoni, borsa, scarpe e palline. Secondo me uno deve giocare con palline costose, così è meno incentivato a tirarle nell’acqua.

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Ovviamente non si può richiedere un livello di organizzazione tale per cui un lavoro fondamentalmente telefonico venga affidato a un madrelingua francese, e così eccomi a fare un bilancio dopo qualche giorno di risposte al telefono.

Non so come si dica “fare spelling”, ma automaticamente la gente tende a dire come si scrive lettera per lettera. Questo ci porterebbe nel discorso che l’italiano sarebbe l’unica lingua che si legge come si scrive, ma in realtà no (gn, ch, ecc.). Comunque, è possibile che facciano spelling con una predisposizione automatica maggiore rispetto all’italiano.

Non c’è un criterio preciso per dire “P di [qualcosa con la p]” eccetera, ma credo che in linea generale si usino parole inventate lì per lì. Io però mi sentivo legato a proporre delle nuove parole, perché magari c’è comunque un set di parole standard, e le parole che ho in testa io sono altre. Non posso dire “M di Mickey Mouse”.

La lettera più difficile da capire all’inizio è la “e”, che dicono in modo più simile a come noi diciamo “u”, mentre la “u” è tipo “iu”.

Aiutava molto però il software delle prenotazioni, perché aveva una funzione di auto-completamento sia per il cognome che per il nome. Quindi c’era tutto un gioco di mettere la parte più plausibile del cognome, senza avventurarsi in “eaux” o “eau” o “et” finali (anche perché la concentrazione era massima sulle prime lettere, le successive erano più difficili da ricordare, e inoltre venivano anche dette peggio), incrociando i dati con le prime lettere del nome, di solito capibile anche senza spelling (Marc, Jean Pierre e cose così).

Nel veloce gioco di mani passando da una casella all’altra (Tab e Shift+Tab) potevo dire “un istant” che sembrava che stessi comunicando con la Stazione Spaziale Internazionale, mentre in realtà stavo incrociando un Guy scritto con la “i” o con la “y” con un Pellaux.

C’era poi il caso che non fossero nel database, e allora dovevo collegarmi con il mega-database di tutti gli iscritti alla Federazione di Golf Francese, guadagnando secondi preziosi perché giustificava un’ulteriore richiesta di chiedere come fosse scritto. Lì poi le omonimie erano all’ordine del giorno, e allora il criterio dirimente era la data di nascita o il club di provenienza.

Discorso a parte meritano gli asiatici, che hanno cognomi tipo Bam, Tan e cose così, ma sono abituatissimi alla difficoltà di comunicarlo (il paradosso è che per come pronunciano loro io li capivo meglio), e anzi loro dicono prima la versione “spellata” che quella intera.

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Pensavo fosse una cosa solo dei sudamericani, o degli spagnoli, i campioni mondiali della storpiatura delle parola a loro piacimento e pronuncia. E invece anche i francesi dove possibile tendono a dire “Disney” invece di “Disneyland”.

Ad esempio dicono “Golf Disney Bonjououour”, quando c’è scritto ovunque che si chiama Golf Disneyland. Mi sembra come se uno chiamasse la Coca-Cola e gli rispondessero “Buongiorno, Coca”, o McDonald’s e dicessero “Buongiorno, Mac”, o l’Alfa Romeo e dicessero “Alfa, buongiorno”. Insomma, si è capito.

Il problema è che la cosa è più diffusa di quanto si creda. “Da quanto lavori a Disney?”, dicono, mai a Disneyland. Curioso poi che non sia neanche The Walt Disney Company l’azionista di maggioranza del parco, anche se ci ha messo sopra recentemente un miliarduccio di euro. E se dici Disneyland sembri un parvenue, qualsiasi cosa questo significhi.

C’è poi la tendenza a chiamare Disneyland, anche quando si vuole inequivocabilmente riferirsi al luogo, come semplicemente “le Parc” (il parco). Se uno deve dire che prima lavorava negli Studios (c’è anche una stretta minoranza che lo chiama Parc 2, ma lì siamo più in fase da walkie-talkie), e ora nel parco, dirà appunto “dans le Parc”, e mai a Disneyland, anche se è abbastanza sensato perché a quel punto Disneyland si intende riferito a tutto il complesso.

Però resta il fatto che per un motivo o per un altro nessuno dice mai Disneyland. Che si parli di attrazioni preferite, di spettacoli, di soldi o chissà che altro, dicono sempre il parco. Oggi poi ho perso l’occasione della vita quando hanno telefonato al golf chiedendo informazioni sul parco (capita abbastanza spesso perché il golf esce misteriosamente prima sulle pagine gialle), e l’hanno chiamato “Euro Disney”. ‘Mmmmmmh… si chiama Disneyland Paris’, clack.

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E così lavoro nel golf, che probabilmente è quanto di più diverso ci sia dal parco. C’è tutto un passaggio di persone ricorrenti e più o meno anziane che si dànno la mano tra loro. Nessuno di loro andrà dopo al parco, e nessuno ci è stato. Né si vendono le cose del parco, ma quasi tutta l’attività consiste nel programmare le partite e gli allenamenti sui campi, districandosi in un’infinità di codici di sconto, abbonamenti e convenzioni varie.

Questo è anche divertente, ma ancora più divertente è cogliere le sfumature di come si interagisce con le persone più o meno ricorrenti. Loro però sono gentili, perché sono ricchi, e lì si sentono teneramente al sicuro perché come sappiamo il mondo è in mano ai poveri.

Il mondo esterno entra in gioco più che abbondantemente purtroppo, se non fosse che a sua volta il golf stesso crea un suo mondo parallelo, ma in forme meno intense. Tra gli sport è tra quelli più autoreferenziali: non ha nessuna speranza di avere un pubblico pagante (la pallina non si vede), né che ci siano giocatori pagati. Anche gli sponsor sono quasi esclusivamente tecnici, cioè legati a farsi comprare da quelli che giocano.

Però questo mondo autoreferenziale si gioca lo stesso su cifre alte, a differenza di altri sport poverini in tutto e per tutto, perché mettere in piedi e mantenere dei campi costicchia, e poi perché tradizionalmente è esclusivo e chi lo alimenta è disposto a pagare, in un equilibrio forse fragile ma che si mantiene da decenni.

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Eccomi di nuovo alle prese con le procedure iniziali, più che altro per vedere come cambiano di volta in volta. Questa volta sono finito in una specie di residence, perché non c’era spazio nelle altre residenze, con tutta una serie di avvertenze sul fatto che ci sono anche persone normali lì, e quindi di non fare casino.

Sto in un appartamentino con altre due ragazze (quindi non mancherà mai lo shampoo). La cosa di principio sarebbe vietata a meno che non siano tutti e tre d’accordo. In realtà è andata che mi sono offerto di fare il terzo con un ragazzo e una ragazza che volevano andare insieme, ma il ragazzo non c’era ancora e alla fine ha deciso di andare nelle residenze dove si può fare casino, e quindi ci hanno mandato un’altra ragazza.

Domani inizio nel negozio del golf, quindi per la seconda volta consecutiva fuori dal parco (protesterò). Non ci sono neanche mai stato al golf, e mi sembra anche strano che uno venga qui per giocare a golf, ma c’è evidentemente tutto un mondo di persone che abitano nei dintorni e non è che possono andare sempre al parco. Poi magari è anche una scusa per i mariti: “voi andate al parco, io magari vado al golf”, e per rendere tutto più credibile l’hanno costruito veramente.

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