bookmark_borderAltre cose più o meno sparse su Disneyland Paris

Finali no, perché quando termini il contratto e fai gli ultimi giri ti riprometti con tutta la forza che finché sarà possibile sarai sempre un cast member, e farai per tutti gli anni l’abbonamento.

Lavoriamo nel posto con il più alto tasso di ritorno sul luogo di lavoro quando non si lavora. Se uno lavora in banca non è che nei giorni liberi va a vedere come sta la sua banca. Non so gli altri, ma io sono tornato tutti i giorni al parco nei giorni liberi. Attrazioni fatte comunque poche. Diciamo che ha più senso farle la sera, per questioni di code, e quasi sempre lavoravo.

Tutta la baracca si regge sui “controlli di qualità”. Faccio fatica a pensare che ci sia gente che gira tutto il giorno per il parco e poi compila schede sul trattamento ricevuto, però pare sia così (chi sono? Che vita fanno?). Finisce poi che inizi a far caso a chi potrebbero aver ingaggiato (anche quella vecchietta americana? Meritano di vincere), ma soprattutto a fare le cose che potrebbero interessare loro, e a notare se anche gli altri le fanno. D’altra parte, non è che i francesi parcheggiano bene perché sono nati così, ma è pieno di paletti ovunque, e multe.

Agli Studios, oltre ai canonici Rock ‘n’ Roller, Torre, RC Racer e Nemo (la situazione della coda non migliora molto, ho giusto visto un rarissimo “30” ma in giorno fiacco e a chiusura), il mio passaparola va anche su Cinémagique, che è stato anche modificato in alcune scene.

La questione dei cast member che sanno poco del parco arriva a nuovi confini: passando davanti al cantiere di Ratatouille chiedo a una con cui stavo facendo un pezzo insieme quando avrebbe aperto, e mi dice “ma perché quella è un’attrazione?”. Ma dài, uno sa se sotto casa ci sono dei lavori ci aprirà una pizzeria o un negozio di scarpe, questo è un cantiere gigantesco che vedi ogni giorno, ti pare che non lo sai? Comunque, il cantiere va avanti velocemente (vorreste vedere le foto eh? Ma non facciamo i feticisti, è un cantiere, pali ovunque, ma con una curiosa “gabbia” al centro, che comunque già si è mezza vista in giro). Non so come funzionino queste cose, ma l’idea potrebbe essere anche che ce la facciano per prima del 2014.

Il parco diventa sempre di più un luogo di relazioni umane, con gente da salutare e di posti da rivedere, e questo è bello.

Ci saranno le foto, un po’ di pazienza.

Quanto è formalmente in perdita Dreams? Per colpa sua chiudono prima attrazioni, ristoranti, negozi, intere aree del parco. Si saranno fatti i loro calcoli, evidentemente il passaparola di andarlo a vedere sopperisce a tutto questo. Devo fare prima o poi un video sulla gente che guarda Dreams, che a volte è quasi più emozionante dello spettacolo stesso. Il commento più sobrio è “fantastique”, o “amazing”.

bookmark_borderAll’improvviso, Duffy

C’è questo orsetto Duffy che si è intrufolato da un annetto nel parco. Sembra provenga dal Giappone, e ha la stessa funzione scenica del cane Pucci nei Simpson, quando decidono di introdurre un personaggio nuovo per risollevare gli ascolti. Sì sa come vanno queste cose, c’è un gruppo di creativi che dice: “vediamo, un topo ce l’abbiamo, un papero pure. Un momento, manca un orso. Dài dài, mettiamo un orsetto! Or-set-to! Or-set-to!”.

E da lì è stata una carriera folgorante, guardate come quasi impalla Topolino nell’ultimo carro della parata, come se niente fosse. Senza che abbia fatto neanche un film si ritrova al secondo posto nella scala gerarchica dei personaggi, per di più nel carro che dovrebbe celebrare i 20 anni e quindi puntare sui classici, mentre lui c’è sì e no da un anno.

Io e Mademoiselle Cendrillon lo odiamo abbastanza, e a volte lo mettiamo di spalle negli scaffali, alcuni ormai completamente invasi. Lei ha provato anche a strangolarne uno, ma aveva la testa che si girava (evidentemente prevedono che quella sia una delle reazioni).

Per il resto, ultimissimi giri prima del ritorno, e ultimissime cose burocratiche come il celebre taglio del tesserino. C’è un po’ di malinconia nel salutare i colleghi. A volte mi sembra di intravedere un pizzico di malinconia “a specchio” da parte di chi resta, proprio nell’esatto momento del saluto, quasi come se tu te ne andassi a riposare, e loro vorrebbero tanto prendersi qualche giorno a casa. Più che altro è anche lasciare questo posto incredibile, che poi uno si abitua e se ne renderà conto bene al ritorno, ai primi clacson.

bookmark_borderQualche cosa imparata di più sul francese

Allora, sui prezzi e cosa da dire ai bambini per stare buoni sono preparatissimo, e anche la paura per il “novanta” come “quatre-vingt-dix” (che scopro ora non si scrive “quatre-vent”) è solo un lontanissimo ricordo, anche se il molto più raro “settanta” come “soixante-dix” non lo possiedo ancora appieno. Credo addirittura in alcuni rari casi di riuscire a orecchiare qualcosa, e capirla, anche senza vedere la persona.

Per il resto, continua a imperversare il “s’il vous plaît” anche nella più antipatica variante “s’il te plaît” che non dirò mai, è davvero troppo “su, ci sbrighiamo qui?”. Esiste comunque tutto un mondo di imperativi gentili, se ho ben capito, che prevedono il “tu”. “Tu fai questo”, “tu vieni con me” oppure addirittura personali: “ti aiuto?”, “io lo faccio”, che probabilmente alimentano quel mondo di equivoci che le fanno sembrare all’orecchio italiano come espressioni più scontrose.

Ci sono poi delle abbreviazioni speciali, tipo “à tout” che essere un’abbreviazione del più macchinoso “à tout à l’heure“, che significa “a presto”, o “bon ap“, per “bon apetit“. O anche l’intramontabile “truc“, che significa più o meno “tutto ciò che non ha un’altra parola per essere detto, o se ce l’ha non mi va di pensarla”. Il problema è che se accedi a questo linguaggio abbreviato significa che devi possedere tutto il resto, mentre io non so neanche come si dica “calzini”, e l’effetto sarebbe ridicolo.

Questione “bonjour“, ancora irrisolta: non è così verò che si debba dire sempre, anche a tarda notte. Si può dire sempre, ma si può anche dire “bonsoir” (ma non “bonsoir” di giorno). Mi ero messo come regola che dopo la parata avrei cominciato a dire “bonsoir“, prima “bonjour“. Però quando un guest ti dice “bonjour” prima di te (ahi, beep beep, “male” per il control qualité) poi sembra che lo vuoi correggere, e se ho ben capito non vale la regola spagnola che ci si saluta in un modo diverso da chi ha fatto il primo saluto (adiós <–> hasta luego). D’altra parte, è anche avvenuta in un paio di occasioni la correzione al contrario, cioè dal “bonjour” mio c’è stato un “bonsoir [eh eh]”, come a dire “[bonjour?] Bonsoir [piuttosto]”.

Non si è neanche capito se incrociandosi veloci si possa fare direttamente il saluto di congedo (come in spagnolo), invece di quello di entrata sempre e comunque (come in italiano, seppure con l’intercambiabilisimo “ciao”). Però mi sembra che “bonne journée” vada bene come cosa unificata.

S’appelle reviens” è il nostro “si chiama Pietro [perché torna indietro]”. C’è anche un episodio psico-sociale attorno a questo. Mi hanno prestato un taglierino dicendomi questa frase, ma in modo un po’ veloce e un po’ girati. Allora io ho chiesto “come si chiama?”, ma avevo capito benissimo che era quella cosa lì, cioè il “torna indietro”, e non volevo sapere come si chiamasse il taglierino (cosa che tuttora non so). Però un altro che era lì ha detto “no, niente niente”, perché nella fretta degli imballaggi sarebbe stato troppo lungo spiegare anche tutta la storia del “si chiama Pietro” in versione francese (neanche troppo lungo, a pensarci bene), forse neanche sapendo che c’è anche in italiano.

Questo è un tipico caso di slittamento tra pensieri e parole, tra sembrare meno intelligente di quello che si è per colpa della difficoltà di comunicazione, che non permette di accedere a un mondo di concetti e idee più avanzate di “prendo questo?”, “vado lì?”. Anche con i guest è un forte limite, per non parlare dei bambini con i quali ancora meno puoi rischiare di non farti capire (e hai paura che loro parlino un linguaggio bambinescamente incomprensibile). La comunicazione è importante. Ah, quante battute geniali rimaste lì (forse non è un male) per paura non tanto che non venissero comprese, ma che sembrasse troppo preparata o “avanzata” detta da uno che non sa pronunciare bene i prezzi. Forse mi dovevo buttare un po’ di più, però una volta mi sono lanciato in un “avant-dernière” per indicare il negozio di caramelle, il penultimo di Main Street, e sembra che si dica veramente così (quando do le indicazioni divento un’altra persona).

bookmark_borderOrari

C’è una cosa bella qui che è la certezza degli orari. Non si lavora mai un minuto di più, né un minuto di meno, e ci puoi programmare una vita attorno. L’unico problema è che gli orari certi diventano uno stress, proprio per la loro certezza, perché il tuo autobus che passerà è quello e solo quello, e lo devi assolutamente prendere, poi magari quello dopo è dopo un’ora.

Questa è una piccola perversione che deriva dall’idea di fare le residenze così lontane. Non conosco bene la loro storia, ma probabilmente l’idea era appoggiarle alle uniche cose simili a centri abitati che c’erano all’epoca, o magari anche le residenze stesse esistevano già per qualche ragione. Questo però significa essere appunto un po’ abbandonati in balia di questi normali autobus di linea che hanno sì orari un po’ adattati (fino a notte tardi), però non sono esattamente una monorotaia automatica che parte ogni 10 minuti e ti porta al parco in 5 minuti.

Come però non si lavora di più in uscita, c’è un tacito accordo (beh no, anche scritto) per arrivare in orario. Non so bene cosa succeda se si arrivi in ritardo, perché per fortuna non mi è mai successo (ma certe corse a volte). Probabilmente niente la prima volta, e via a scalare fino all’occhiata di rimprovero in francese, che è forse la cosa peggiore che possa capitare.

Tutto deve andare liscio, per uscire di casa, per arrivare, per passare il badge (qui dicono “badger”) a quell’esatto minuto in cui devi cominciare o andare via, e per prendere l’altro autobus. Anche per andare a fare la spesa sei sempre schiavo dell’autobus, ed è un continuo incastro di orari da studiare il giorno prima, o anche con maggiore anticipo. Tutto ciò ovviamente mi piace, per carità, ma stai sempre con l’idea del non poterti rilassare completamente per paura di fare tardi, un po’ come il disturbo potenziale delle chat accese, o del telefono aperto.

Questo si somma agli stress naturali e mi ha portato a crollare per 3 ore di sonno ieri, dopo aver concluso l’ultimo giorno di lavoro, quando invece volevo fare un riposino di 15 minuti. Ci si porta dietro una stanchezza che a volte non ci si rende bene conto, i primi giorni si fanno sogni strani, di persone mischiate di parco e non parco, ma io li faccio pure in tempi di non lavoro come avvicinamento al parco, nel senso che provo a entrare e per qualche ragione non riesco mai, o comunque è sempre un parco diverso da come è davvero.

bookmark_borderSuccede solo da McDonald’s

Capita che per ragioni di difficoltà di connessione, schedine delle residenze (a pagamento) che scadono e cose varie, a volte l’unico posto possibile per collegarsi sia McDonald’s (che avrei chiamato McDonald Duck’s, invece qui l’unico riferimento è che i due archi sono uno più basso dell’altro, e la scritta un po’ ondulata come se fosse una montagna russa). Si badi bene, non c’è un McDonald’s nel parco, ma si trova nel Village, una specie di terra di nessuno dove poter spendere uscendo gli ultimi quattrini, o i primi arrivando, dato che è strategicamente inserita tra i parchi e gli hotel. Credo che il Village rappresenti un collegamento tra il mondo incantato eccetera e il mondo “reale”, e il mondo reale è appunto rappresentato anche da McDonald’s.

Dopo averlo visto in quasi tutti gli orari possibili, ho capito diverse cose anche banali: la gente va davvero a mangiare tutta insieme in una certa fascia oraria, che più o meno coincide con quella del pranzo e della cena, ed erano anche quelle in cui io dovevo andare via, perché cliccando su “J’accepte” nella schermata iniziale accetti il fatto che puoi sì connetterti, ma se qualcuno ha bisogno del posto glielo devi lasciare. Non so se succeda veramente, io sono sempre andato via prima del primo eventuale “monsieur”.

Negli altri orari, il locale è abbastanza vuoto, soprattutto di mattina. Tuttavia c’è comunque sempre qualcuno. Mi stupisce sempre questa cosa che a parco aperto – e presumibilmente stiamo parlando di gente con un biglietto in mano – ci sia gente che non sta con il sedere piantato su Big Thunder Mountain, ma passa il tempo addirittura fuori dal parco, così come mi stupiscono quelli che a tutte le ore li vedi camminare per Main Street, che per come è fatto il parco dovrebbe essere un posto dove stai solo all’inizio e alla fine (salvo raffinate strategie di ritagliarsi un momento a cavallo del pranzo per vederla con calma anche nelle arcate laterali, simulando anche per un attimo l’idea che sia una vera strada con una quantità credibile di persone, ma se ho capito qualcosa in tutta questa storia è che nessuno fa raffinate strategie).

Altra cosa di McDonald’s, ma più serale. La gente andandosene lascia sporco, ma tanto. Sembra ci sia stato il sacco dei galli (ok, cattivo esempio). C’è cibo praticamente ovunque, e il pavimento diventa appiccicoso. Immagino che ci sia qualcuno che debba pulire, ma ogni giorno e moltissimo, direi quasi con metodi industriali tipo getti d’acqua. Non ho bene idea di come funzionino i ristoranti in generale, ma credo che questo problema sia comune. C’è un grande dietro le quinte anche a McDonald’s, ma in realtà dopo aver visto uno dei più clamorosi dietro le quinte della storia sono portato a immaginare i dietro le quinte di qualsiasi cosa, e che le cose sono in realtà più complicate di come arrivano a noi utenti finali. E se qualcosa non funziona magari è solo per un piccolo granellino all’interno di un meccanismo complesso, per un errore fatto da una persona come noi. Siamo tutti insieme su questo mondo, quindi vogliamoci bene (lo ammetto, ho visto Dreams da vicino oggi, ma non faccio “it’s a small world” da almeno 4 giorni).

Poi, la gente mangia molto. C’è chi si prende anche due hamburger, più le patatine, e pure una bevanda gassata. E i bambini giocano veramente con i giochettini in allegato. Insomma, è un sistema che funziona.

Infine, dovrebbe esser legale rubare una o due patatine dal vassoio di chi si incrocia camminando.

bookmark_borderMedemoiselle Cendrillon

Ogni hanno ha la sua amica appassionata di parchi. Questa volta ho conosciuto Mademoiselle Cendrillon, ma non per caso camminando nel parco, bensì da quel florido (o Florida?) mondo twitteresco-blogghistico che ci ruota attorno, e infatti questo è il suo blog.

Beh, oltre a essere di base un bel po’ più sveglia di me nel notare particolari e dettagli, da frequentatrice assidua negli anni ne sa molto più di me, compresa una cosa sul mio negozio che ignoravo (che figura!): c’è un punto che se parli anche piano da un lato all’altro ti puoi sentire benissimo (ecco cos’erano tutte quelle voci).

Doveva rinnovare l’abbonamento, e io farle da padrino (se trovi 3 “figli” ti regalano un anno), ma siccome il suo era un rinnovo abbiamo scoperto che la cosa non valeva (sennò tutti a padrineggiarsi tra amici all’infinito, in effetti). Questo getta ora una nuova luce su tutto il padrinaggio, perché ora devo trovare altre due persone, non solo una, entro 2 giorni. Finché potevo chiederlo a un solo sconosciuto va bene, ma a due forse diventa troppo. C’è anche scritto da qualche parte che sarebbe vietato fare “bagarinaggio” per cercare questi nuovi abbonandi, ma lo interpreto come un “divieto Disney blando”, per cui se chiedo discretamente a un olandese là fuori sicuramente non ci sono problemi.

Per il resto, l’altra cosa rilevante è che mentre la sera rimettevo a posto il negozio è passato un camion che trasportava l’albero di Natale. Poi ho visto anche un po’ il montaggio, che è quanto di meno scontato si possa pensare: gru, tiranti, sostegni e cavi, e l’albero in pezzi che viene assemblato una parte dopo l’altra. Ci vorrebbe una foto, lo so, ma forse è meglio così, che all’improvviso dove c’erano delle zucche nasca da un giorno all’altro un albero.

bookmark_borderI micro-gesti

Probabilmente, se la gente parlasse con le mani legate, si capirebbe il 10% di quello che si capisce, specie nell’incontro tra linguaggi di base differenti. Sono i micro-gesti che salvano tutto, quelli per cui non hai idea di come si dica “ditale”, o “cosa da mettere sopra l’albero di Natale” (neanche in italiano, a dire il vero), ma alla fine riesci sempre a capire di che si tratta.

Questi sono probabilmente i casi più evidenti, perché in realtà alle volte questi gesti sono davvero microscopici, quasi impercettibili, anche solo un infinitesimale spostamento dello sguardo in direzione di ciò che si vuole intendere.

Aiutano poi molto le parole chiave: “Monsieur … [incomprensibile] … pins” significa sicuramente che vogliono scambiare una spilletta con te. (Abbiamo una collana di spille, e chi vuole può scambiarle con te. I più organizzati hanno una pagina apposita nei loro raccoglitori di spille, solo per gli scambi, e ti fanno scegliere)

Oppure: “Monsieur … [incomprensibile] … vitrine/figurine”, vuole una statuetta nella vetrina, magari indicando con un micro-gesto quale. Poi, essendo una vetrina, puoi prendere tempo perché è chiusa e a quel punto ti devi far indicare qual è, e lì il gesto è spesso palese. Lì si verifica anche un’altra cosa, che è il nome di aiuto, perché a quel punto il guest dice lui il nome del personaggio che vuole, e così lo scopri per la prima volta e quando devi chiamare dietro per prenderlo lo sai.

Per la cronaca: il Grillo parlante si chiama Jiminy Cricket (anche solo Jiminy), Cip e Ciop sono Tic et Tac, Campanellino/Trilly è Clochette, ma si sapeva già. Sui Nani ci stiamo lavorando, ma tanto non li sa nessuno. Una signora mi ha chiesto quanti ne servissero per completare una serie che cammina su un albero: “Ehm… sept!”.

bookmark_borderHalloween

Cose notevolmente al di sopra delle aspettative: la serata di Halloween, intesa proprio come la serata speciale, quella con la sovroumana operazione di filtraggio degli ospiti che non hanno il braccialetto, ma dove quest’anno mi sono in qualche modo intrufolato (e con il senno di poi, l’avrei forse potuto fare anche un anno fa).

In realtà è anche un’ottima occasione di visita, perché i biglietti costano 35 euro e si può entrare dalle 17 e restare fino all’1. Praticamente è l’evento più economico della storia, basti pensare che solo Dreams!, che si può stimare valga da solo 50 euro, viene fatto due volte, più tantissimi spettacoli ed eventi speciali, e chiaramente il parco praticamente tutto aperto. Succede anche un po’ lo stesso che a Capodanno, con il tema che salta un po’ in alcune aree per far posto alla musica “vera“.

Cose geniali: come gli viene in mente di sfruttare il battello che fa il giro del lago per farci sopra uno spettacolo ispirato al jazz di New Orleans, con anche un paio di personaggi sopra, che non si sa come ma riescono sempre a inserirci qualche personaggio in qualsiasi contesto. I creativi probabilmente non a caso sono tali, seppure nel microcosmo del singolo ballerino si devono muovere in un insieme più piccolo di movimenti evidentemente più codificati. Avrei anche un video, ma pesantissimo e non so se riesco a caricarlo.

Poi ci sono i guest, che probabilmente sentono più nordicamente l’evento nel senso di mascherarsi per l’occasione. E in alcuni casi lo fanno incredibilmente bene (moltissimi comunque sono inglesi o americani). C’è anche una specie di regolamento per cui non si può avere il volto completamente coperto (ma chi osa dire di no a Darth Vader), e se ci si veste da personaggio Disney ci si impegna a non posare con i visitatori né firmare autografi.