bookmark_borderManifestazioni

Mi è capitato di finire quasi in mezzo a una manifestazione a Barcellona, ma non ho capito bene per cosa fosse, anche se dai pochi cartelli e dai toni sembrava piuttosto generica, tipo “contro il capitalismo”. Poi cercando dopo ho capito che dovrebbe essere stata contro la ristrutturazione di una strada, a Burgos.

Quello che mi ha colpito è che la dinamica manifestanti-polizia era abbastanza sobria, seppure animata da tizi semi-incappucciati che lanciavano qualche oggetto. Però questi tizi non avevano caschi. D’altra parte, per le blande reazioni della polizia, che più che altro difendeva un palazzo (quindi grosse corse non avrebbe potuto fare), una parte della gente si spaventava molto, e correva come fosse inseguita dai tori (ok, cattivo esempio).

Niente lacrimogeni, niente cariche con le camionette, niente fuochi. Giusto una mezza vetrina infranta, due scritte, e pochissimo altro. Dal punto di vista del contatto fisico, hanno fatto quello che dovevano fare per rinnovare la dinamica tra manifestanti e polizia, e basta.

Non che dietro ci abbia visto una chissà quale differenza sostanziale nell’interpretazione dei ruoli in campo, tipo che sono più civili o chissà che altro. Certo che sono anche tutti più civili (i manifestanti in primis, la polizia agisce a ricasco loro), ma il punto mi sembrava quello di un’evoluzione cronologica differente.

Erano così perché erano in quella fase storica esatta del rapporto tra manifestanti e polizia, in un momento “giovane” che non è detto che un domani non possa anche degenerare, introducendo caschi e quant’altro. Però è possibile anche che non degeneri, e che vada in direzioni storiche differenti, più anglosassoni e meno mediterranee come in Italia, dove peraltro i problemi di civiltà di base dipendono dalla dominazione spagnola del passato. Insomma, è tutto complicato.

bookmark_borderGracia di esistere

Già le generalizzazioni sulle “identità” delle città non si possono sentire, figuriamoci poi quelle sue quartieri. Nonostante questo, a Barcellona Gracia ti riesce a trasmettere una certa notevole tranquillità.

Saranno le strade ad angolo retto, fattostà che c’è un equilibrio generale che non è neanche legato alla possibilità di vivere la vita più della quota che la città concede (95%, però sicuramente la voce “auto e rumore” è molto bassa): ci sono dei difetti, ad esempio scritte sui muri, però sono inseriti in un equilibrio di ragionevolezza che uno è anche disposto ad accettare.

A qualcuno potrebbero interessare i “negozietti”, che sono anche carini e colorati, ma per il volere essere ognuno troppo diverso dall’altro offrono una varietà di business e cose che ti rende un po’ spaesato. A me interessa di più che sia un po’ scattata per un qualche miracolo un’idea condivisa di ordine.

bookmark_borderRicordarsi del latte

Un cliché cinematografico interessante e divertente è quando uno va in cucina per prendere il latte, prova a versarlo ma scopre in quel momento che il cartone è vuoto. In realtà il cartone del latte vuoto è leggerissimo, e uno dovrebbe accorgersene appena lo solleva. C’è da dire che è anche abbastanza raro che si lasci un cartone vuoto di latte in giro.

bookmark_borderAlbum fotografico minimo

Molto minimo, perché alcune cose in cui la Repubblica Italiana non ha il pieno controllo non si possono fotografare.

Barche. C’erano dei turisti in costume a gennaio. Non era da costume, ma se uno può farsi una foto in costume perché è un po’ più caldo del normale, e abita a nord di Como, pare se la faccia.

Cartellone pubblicitario personalizzato.

Capodanno con allusioni sessuali. Aspettando il burlesque.

Situazione media dei palazzi, quasi in centro.

Non lavare i panni sporchi in pubblico.

Pionieri.

Bei murales con i morti di mafia sui muri del carcere. Toccanti.

Caso totalmente unico al mondo di autobus che per un brevissimo tratto procede a “binario unico”, con una fermata di fronte all’altra. C’è da dire che è la penultima fermata, ma il caso che si incrocino si può comunque verificare.

Autobus che aspettano al capolinea di fronte alla stazione, quasi tutti a motore acceso per minuti e minuti. L’unico modo per alleviare un po’ la cosa è mettersi davanti.

bookmark_borderQuelli che rimangono

Mi incuriosiscono quelli che sono rimasti, mentre come si diceva uno ha sempre a che fare con quelli che sono andata via. Effettivamente, essendo dei giorni festivi potevano esserci molti che erano andati via ma poi tornati temporaneamente, ma a un certo punto sono capitato per caso dentro un’università, e lì sicuramente c’erano studenti locali (escludendo la possibilità che ci fosse gente di altri posti ancora andata lì a studiare).

Se fossi stato più allegro, o in un film di Nanni Moretti, gli avrei chiesto perché sono rimasti a Catania. Non l’ho fatto ma me li immagino che magari la sera scorrono Facebook e vedono le foto di Rosario o Margherita a Londra con cocktail stratosferici (che poi sono le cose che si possono fare anche lì, io fotograferei macchine parcheggiate bene e muri puliti).

E per un attimo pensano perché non sono andati via anche loro, ma forse possono ancora farlo, però ormai hanno iniziato qui, e non è detto che dietro a quei cocktail vada tutto bene (vero), e in fondo è complicato, e anche qui non si sta poi tanto male (incredibile la capacità delle persone di abituarsi a tutto). E passa un giorno, passano altri giorni, e altri e altri ancora.

La mia amica definisce quelli che sono rimasi in modo molto lineare: mafiosi. In senso lato, perché hanno per qualche conoscenza la possibilità di avere un lavoro qui. Altrimenti, l’unica strada è andarsene.

bookmark_borderLove cost

Violando il principio per cui non si viaggia in posti meno vivibili di dove si sta abitualmente (ma per come è messa attualmente Roma, l’orizzonte è il mondo), eccomi a Catania.

Quando si dice che quello che conta non è il punto di arrivo, ma il viaggio in sé, questo è particolarmente vero prendendo uno dei primi voli Ryanair da Fiumicino. Anche se ora se ne stanno abbastanza in un angolino, è un segnale che l’invasione è cominciata, ed è stata un’emozione vera vedere i loro banchi per il check-in e l’aereo parcheggiato (era quasi da fare la foto all’aereo, ma la situazione non faceva comunque superare il più imbarazzante tra tutti i cliché, secondo solo a reggere la Torre di Pisa).

Non bisogna mai identificarsi in un marchio, né lodarlo particolarmente in quanto marchio (sempre persone dietro ci stanno, più o meno miserabili come tutte), ma solo riconoscere in questo caso la rivoluzione culturale di regole e marketing che si trascina dietro. Solo, non mi piace che ora si possa portare anche una piccola borsetta oltre al bagaglio a mano. Significa darla vinta a quelli col sacchettino, il che va anche contro un’idea più generale in cui nel futuro gireremo con vestiti termici aderenti e miniaturizzabili (auto-lacci, wow!) e senza capelli, oltre a far impennare il consumo del carburante.

L’altro risvolto è che potrebbe essere un piccolo segnale verso la chiusura del non-aeroporto di Ciampino, l’unico in cui la parte più stressante del viaggio non è l’aereo ma l’autobus per arrivarci, a favore del più che decente Fiumicino.

L’attenzione si è progressivamente spostata su quelli che erano lì, che presumibilmente stavano tornando a casa. Tanto per cominciare non hanno fatto l’applauso quando è arrivato l’aereo, e neanche dopo la musichetta che annuncia fraudolentamente l’arrivo in anticipo rispetto a un orario di arrivo gonfiato (l’unica cosa davvero fraudolenta di Ryanair). Uno ha sempre avuto necessariamente a che fare con quelli che sono andati via, ma mi interessa notare il mondo di quelli che sono rimasti, che per ora guardo con curiosità e un po’ di tenero rispetto, sia che siano rimasti per pigrizia che per coraggio.