bookmark_borderAlbum fotografico minimo

Buone idee. I due erano agganciati tra loro, una cantava e uno suonava.

Quel discorso dell’ibrido tra “di strada” e teatro “vero”.

Facile. Il momento di maggiore emozione “mo cade”.

La chiesa con il minor respiro di fronte a sé della storia.

Buona idea. Libri sotto mattonelle sotto-vetro.

Una città che promuove la candidatura olimpica di un’altra, forse per il legame dell’essere state entrambe capitali.

La fanfara che non suonava, ma faceva varie gag.

Teatro semi-statico di deriva simbolistico-esistenziale in cui ascoltavi questi tipi dentro delle palle. Però mi aspettavo che ci fossero scenette dentro, non solo la testa.

Un clown cileno che sa totalmente il fatto suo.

Un raro momento senza nessuno il plaza Mayor (l’alba). E pure qualcuno c’era.

Questo è un intercity in Spagna. Anche dentro era lievemente diverso da quelli italiani.

L’ex Arena de toros di Barcellona, ora centro commerciale, punto panoramico sul tetto, palestra e cinema multisala.

La pasticceria del mio amico a Barcellona, dove tendono a risucchiarmi per dargli una mano senza permettermi di visitare la città (ma non avrei comunque tempo).

Una piazza dove c’è scritto l’anno con il punto (ma dall’altro lato no).

bookmark_borderCose nuove imparate in spagnolo

Poche per la verità, perché la curva della scoperta tende ad abbassarsi col tempo. Però mi stavo concentrando sulla madre di tutti i super-jolly mai incontrati in qualsiasi lingua: venga! Devo confessare che ero caduto nella trappola di pensare che si dicesse benga!, come in effetti sembra venir pronunciato.

Questo super-jolly è ancora più super-jolly di truc in francese, che ha un suo vago riferimento agli oggetti, pur significando qualsiasi oggetto. Qui siamo oltre la materia, perché è un’esortazione mettibile in qualsiasi frase abbia un accento (nel senso del punto di interpunzione), e qui tutti tendono a parlare con un antipatico accento implicito, anche le ragazze, oltre ai maschi con il vocione, il gel e i calzini marroni (che poi sono quasi tutti).

Venga! si può dire al cane che si attarda a fare i bisogni, prima di un saluto, prima di un “grazie” o un “prego”. Diciamo che equivale all’italiano “dài!”, anch’esso abbastanza super-jolly ma meno codificato.

Altre cose sparse: Varsavia si dice Varsovia. Carote si dice sanaorias.

bookmark_borderPasseggiando per la città

Succede che mischiando la modalità di uscita spagnola con il CouchSurfing lato sociale (non solo quindi essere ospitati ma anche incontrare gente ), si possano creare delle situazioni del tipo che tu hai quedado (letteralmente: “rimanere”, ma anche “prendere appuntamento”: he quedado con, ma anche como quedamos?, che potrebbe essere “come rimaniamo?” in effetti) con una persona sola, però poi andando da questa persona incontri un’altra persona che avevi conosciuto il giorno prima (chi è causa del suo mal…), e nel primo spettacolo anche la persona che ti ospita, e poi anche la prima persona ha quedado con altra gente. Ti ritrovi in dieci in un attimo, con nuovi flussi di gruppi che si creano e disfano, magari perdendo di vista la prima persona e rimanendo con questi nuovi tuoi amici di secondo o terzo grado.

Questo è bene, sicuramente, però la verità è che il teatro de calle è un’esperienza che va fatta almeno per un giorno intero da soli. Andare al cinema in compagnia è una cosa che non capisco molto ma si può anche fare. Vai, c’è quel film, inizia e finisce (capisco che c’è anche tutto un filone di gente che decide nella sala, ma tendo a non considerarli).

Qui però è tutto per sua natura più evanescente, a parte un programma dettagliatissimo con orari di una puntualità imbarazzante, specie per le cose più di strada e da vedere in piedi. Andare a vedere quello che si vuole, è bello soprattutto, per il tempo che si vuole, cambiando idea anche in corsa, riposandosi quando si vuole, con qui specificamente anche tutta una serie di posti che vuoi rivedere (qui ogni angolo ha un ricordo) e che richiedono delle micro-deviazioni.

bookmark_borderSimbologie unilaterali autoreferenziali

Nell’ultima notte a Valladolid sono stato in un ostello/pensione dove ero stato x anni prima per cercare la casa per l’Erasmus. Non era casuale la scelta dell’ostello, ma sì avere la stessa stanza. Non so se dovessi essere triste o contento, o se dovessi tracciare un bilancio, o se dovessi essere triste o contento di dover tracciare un bilancio, o se dovessi tracciare un bilancio se fossi triste o contento, ma forse più triste, perché la simbologia superava tutto il resto. Inoltre, qualunque cosa questo significhi, ricordavo la stanza molto più piccola, e avrei forse scommesso dei soldi sul ricordo che non ci fosse un lavabo, che invece c’era.

E quando l’ho detto alla signora gentile che mi ha dato la stanza, aggiungendo che però lei non me la ricordavo x anni prima, lei ha detto che era perché aspettava il ragazzino che stava ora giocando con la PlayStation nella stanza/hall. E lo stesso ragazzino è stato chiamato a tenere il pallone sul dito in una gag di Dos Perillas, uno che può permettersi di allungare il brodo in mille modi perché è un intrattenitore totale – e forse un artista -, nell’ultimo spettacolo visto, che era per caso lo stesso che vidi due anni fa sempre per caso nell’ultima visita al Teatro de Calle.

bookmark_borderRitmo, ci vuole ritmo

Secondo giorno di spettacoli al Festival Internacional Teatro y Artes de Calle di Valladolid con una considerazione principale: metà degli spettacoli potrebbe durare la metà. Il restante, tre quarti. È vero che in realtà il festival è più di teatro che de calle (strada), non si capisce perché non possano entrare, fare la loro cosa e avanti il prossimo.

Se hai una cosa di equilibrismo, fai la cosa di equilibrismo. Se sei un clown, va bene: entra con la biciclettina facendo qualche giro, però poi fai subito le tue cose senza metterci ore a preparare tavoli e oggetti vari. Con il teatro “puro”, o “semi-ibrido”, a volte è anche peggio. Se hai una mega-piscina gonfiabile d’acqua, e uno spettacolo che si basa interamente su quello, non far entrare la piscina dopo 20 minuti, e dopo che tre attori hanno attraversato tutto il palco camminando su delle sedie e passandosi per ogni passo l’ultimo la sedia al primo (per di più quando – grazie al simpatico clima continentale – la sera è già diventata freddissima, dopo il caldissimo del giorno). O se hai video e cose di movimento relazionate ad essi, non indugiare.

Probabilmente questa lentezza attiene al modo in cui vengono confezionati gli spettacoli per essere scelti. Uno non può dire: io so fare questa cosa e quest’altra, entro faccio due mosse in più per introdurle e mi sbrigo in 10 minuti. No, non sarebbe arte. O forse sono io che noncapisconiente. La conseguenza è che in questo gioco al rialzo tra arte e più arte ancora basta poi poco per ritrovarsi con descrizioni che parlano di “un viaggio interiore nell’animo umano” (quale spettacolo non lo è?). Ecco, io organizzatore comincerei con l’escludere qualsiasi descrizione di presentazione che parli di “un viaggio interiore nell’animo umano”.