bookmark_borderCose mentali strane che succedono

Pensavo a due cose, la prima è che quando uno si sveglia per un rumore (raro), a volte pensa di aver sognato un motivo coerente legato a quel rumore nel sogno. In realtà è impossibile, perché il rumore non è ancora successo, quindi si ricostruisce a posteriori un passato del sogno. Questa cosa veniva anche spiegata in un film, Piano 17, ma in modo molto incidentale. (era solo buttata lì in bocca a un personaggio per far vedere che era sì cattivo, ma anche geniale)

Altra cosa: quando uno vede un video, mettiamo su YouTube, e vuole tornare indietro per rivedere un momento importante, 9 volte su 10 finisce troppo avanti. A volte mi capita anche che dopo la prima tornata indietro, non sufficientemente indietro, clicco un’altra volta sulla barra per tornare ancora più indietro, e non è ancora abbastanza indietro. Non so bene perché.

bookmark_borderI cinque segni

Sul sito delle Olimpiadi c’è una sezione dedicata al linguaggio dei segni, con diverse parti tradotte in questo modo.

Che poi viene da chiedersi che se uno è sordo non dovrebbe avere problemi a leggere il sito, però credo faccia parte di quella logica di coprire il 100% delle le situazioni possibili, costi quel che costi.

E questo ci porta a parlare di Disneyland… no, questa volta no, però vedere le Olimpiadi come se fossero un parco divertimenti (non solo il Villaggio Olimpico inteso come luogo chiuso e protetto, ma anche i terreni di gioco, e i luoghi delle gare, e per quanto possibile anche sbirciare quanto cambi la città in quei giorni) può essere un taglio interessante.

bookmark_borderCose impossibili in Italia

C’è una moda nei playoff NBA da qualche anno, ed è quella di vestirsi tutti dello stesso colore per incitare meglio la squadra, insomma creare un certo clima. Che io sappia se la sono inventata a Miami questa cosa, vestendosi tutti di bianco.

Io molto umilmente suggerii di fare una cosa del genere anche a Roma, 4-5 anni fa, mandandogli un’email. Due giorni dopo uscì il comunicato che avrebbero distribuito le magliette. Se fu davvero una mia idea non lo sapremo mai, ma questa comunque è un’altra storia.

La cosa notevole, della storia di Miami e di tutte le squadre NBA che poi hanno seguito l’esempio, è che le magliette non vengono distribuite in un clima di aiuti alimentari, ma sono già appoggiate sulle sedie. Uno arriva e si prende la sua, fine della storia.