bookmark_borderCose nuove imparate in francese

O più che altro forse in questo caso dovrebbero essere in inglese, visto che negli hotel c’è tutto un giro anglofono di inglesi, irlandesi, olandesi e tedeschi che fanno la cosa strategica di prendere questi hotel forse meno cari ma collegati comunque al parco da navette.

Sul lavoro, come sempre ogni posto ha il suo sotto-vocabolario differente. Questa volta mi sembra si usino di meno i “tac” e gli “hop” di agilità, anche perché c’è meno da fare cose di agilità visto il poco movimento, e a pensarci bene si è anche quasi sempre da soli, e le cose di agilità si dicono quando la fai a un altro.

Anche en fait e par contre, le cui sfumature e differenze sono sempre abbastanza enigmatiche, mi sembrano un po’ in calo, ma va molto il du cou, immaginando che si scriva così perché non lo trovo in rete in nessuna maniera, neanche simile. Comunque, dovrebbe essere una specie di “quindi”, e qui si usa molto perché nei momenti in cui ci ritrova ci si racconta quello che è successo, più che dire a uno “par contre devi fare così”, anche perché non c’è nessuno a cui dirlo.

Cose più sparse sono che i pannolini o le salviette per i bambini si chiamano lingettes, i preservativi preservatifs (ma nessuno ne ha mai chiesti, né al negozio né altrove), i fogli da colorare con i personaggi disegnati si chiamano coloriage. Di questi ne possiamo regalare quanti ne vogliamo, più che altro per passare il tempo, e il mio motto è che ogni bambino deve avere un coloriage.

Poi ci sono doudou e chouchou, che sicuramente non si scrivono così e credo siano espressioni per dire “caro mio”, visto che uno dei capi mi chiama sempre così.

bookmark_borderAncora sugli hotel

Devo prima di tutto dire che non è vero che stando nell’hotel più lontano si è l’uomo Disney più lontano dal parco. Non è vero, è una stupidaggine: ci sono quelli del golf e del campeggio che sono ancora più lontani.

Poi c’è una cosa sto dicendo a tutti da giorni, e che quindi devo ripetere anche qui. In pratica negli hotel si vendono i preservativi, insieme ad altre cose da viaggio tipo lo spazzolino da denti, gli assorbenti o lo shampoo. Però i preservativi mi sembrano illogici, perché se nascono meno bambini, meno persone andranno al parco.

Per il resto confermo che si è più spesso da soli e quindi più responsabilizzati: ho aperto e chiuso negozi da solo, cose impensabili prima perché semplicemente non previste dal punto di vista burocratico. Se prima mettevo 7 firme, ora probabilmente sono 27.

La vita qui è tranquilla, allora a volte mi metto a leggere tutti i libri sulle procedure della cassa, del negozio, della gestione delle chiavi (o a scrivere questo paragrafo su uno scontrino). Vado anche ad esplorare cartelle, fogli, file nel computer, e scopro molte cose che prima non sapevo. Una specie di dietro le quinte del dietro le quinte. Forse ora so il 40% del funzionamento di questo negozio, e quindi a livello teorico di tutti. Prima probabilmente sapevo il 10%, ma non sapevo neanche quantificare quanto fosse.

Mi stupisce poi come alcuni di loro facciano alcuni errori. Nel senso, tutti ne fanno, ma ad esempio ogni tanto qualcuno si porta dietro una chiave in un altro negozio, o addirittura il cellulare del negozio a casa. Non hanno una specie di controllo ricorrente delle cose in tasca? Sarà che io frequento spesso i mezzi di trasporto pubblico romani, però almeno due volte al minuto controllo quello che ho in tasca, e comunque ho una specie di check-list mentale delle cose che devo avere in quel momento. Sarà forse l’ansia dei primi giorni, però d’altro canto loro che stanno lì da mesi o da anni dovrebbero andare a occhi chiusi, e aver anche smesso di controllare sempre cos’hanno in tasca, a meno che non vivano in qualche banlieu parigina.

Poi quando viene fuori che manca una chiave o un cellulare chiedono anche a me se io possa averlo preso, quasi come se il nuovo e inesperto possa essersi distratto. Io vorrei dirgli: amico, non parlerò bene francese ma di certo sono più ossessivamente organizzato di voi su queste cose procedurali. Poi secondo me gli errori si fanno e li fanno quando vogliono fare le cose per forza veloci, veloci anche quando non c’è qualcuno ad aspettare (che poi comunque la gente viene lì apposta per fare le file). Gli errori non si fanno rimanendo concentrati e andando piano, e soprattutto incasellando il più possibile le procedure in movimenti del corpo schematici sempre uguali.

bookmark_borderCosa succede negli hotel

Niente, o quasi. Entra poca gente, si fa poco ma si hanno più responsailità perché si è da soli. Pensavo di cominciare a leggere tutto Tacito, o scrivere un libro sugli scontrini. Ero sempre in quello con il maxi-schermo davanti e mi sono visto tutti i gol possibili di calcio inglese e francese, e una gara di motocross.

In un altro vedo fondamentalmente la reception, la porta rotante di ingresso e le navette del parco, potendo quindi fare delle statistiche informali sui flussi di persone che arrivano, e sulla piccola parte di loro che entra anche nel negozio. In un altro lo stesso, e in quello in cui non sono ancora mai stato dovrebbe vedersi la piscina.

Gli hotel come luoghi sono affascinanti, e come tutte le cose visti un po’ da dentro ancora di più. Mi muovo ancora un po’ come Eddie Jemison in Ocean’s Eleven, quando deve mettere la microspia nelle linee, ma più o meno per ciascuno ho trovato dove sono i vari luoghi chiave, cioè fondamentalmente la “cafeteria”, sprovvista di una vera mensa ma dotata di vari meccanismi evoluti per la vendita e il riscaldamento automatico degli alimenti. Secondo me esiste anche un circuito di cose che avanzano al ristorante e vengono poi ridistribuite tra gli altri, ma non l’ho ancora scoperto.

Le regole di ingaggio con gli altri dipendenti dell’hotel sono che ci si saluta, forse con un pizzico di solidarietà interna nei confronti di questi signori un po’ sovrappeso e viziati che ci fanno patire le pene dell’inferno. In realtà non è proprio così, e facciamo ormai tutti parte di questo mondo.

Mi manca un po’ il parco, anche se sono lì in qualche modo come ambasciatore, perché tecnicamente, quando sono in quello con il maxi-schermo dovrei essere la persona ufficialmente del parco più lontana dal parco.

bookmark_borderRitornare

Eccomi di nuovo qui sull’autobus che va da dove si firmano i contratti alle residenze, momento che si pone più o meno a metà nel vari riti dell’arrivo, forse anche troppo vicini rispetto all’ultima volta.

Questa volta, per cambiare, si va negli hotel (cioè nei negozi degli). Grande errore. Ora dico così, poi alla fine dirò che mi sono piaciuti gli hotel. Come funziona? Me l’ero chiesto prima di andare, e in effetti succede che non c’è un guardaroba, e neanche una mensa. Si è autorizzati a prendere cinque camicie e tre pantaloni, che si possono portare a casa.

Oltre a questo, si è molto soli. Si è soli nel negozio, e questo ha anche un suo fascino di responsabilizzazione e sentirsi il padrone di casa, se solo però entrasse qualcuno in questa casa. Diciamo che i ritmi sono più blandi, per 100 persone che entrano nel negozio del parco qui ne entrano 10. Ed è tutto più sfumato rispetto all’organizzazione ferrea del parco. Alcune procedure sono chiaramente le stesse, e anzi si devono fare più cose burocratiche perché si è da soli, ma ad esempio non c’è il badge, e anche l’organizzazione interna degli orari è più leggera (anche perché si è da soli).

Però, la cosa principale è che si è fuori dal parco, e questo si avverte abbastanza, troppo per me. Ad esempio il negozio dell’hotel di ieri dava esattamente di fronte a un maxi-schermo. Ho visto molto rugby francese. Sempre di fronte a te ci sono delle persone che magari bevono anche degli alcolici, per andare nell’hotel ti accompagnano in macchina, arrivando in un parcheggio con molte altre macchine, e la musica in filodiffusione è quella che passa nelle radio eccetera. Insomma, è tutto troppo “reale”, non c’è poi davvero un backstage e quindi nessun salto dentro/fuori tra i due mondi, anche perché di fatto resti con i vestiti di là.

Per il futuro c’è una mezza idea di fare più foto, o addirittura dei video (in questi casi bisogna dire la parola “progetto”), anche perché quello che c’era da dire ormai era più o meno stato detto.

bookmark_borderAlbum fotografico minimo

Non c'è più il Castello da 30.000 euro (venduto?), in compenso c'è questo da 6.000, che non è neanche quello del parco
La vita qui: la fermata dell'autobus per andare al lavoro

 

Un lago che in alternativa si può attraversare per andare a prendere il treno che porta al parco, o al centro commerciale

 

L'ho fatto solo una volta. Notare anche il prezzo

 

Casa mia per due settimane (solo una finestra)

 

Duffy

 

Big Thunder Mountain

 

La nuova attrazione che aprirà questa estate: Ratatouille: l'aventure totalement toquée de Rémy. Che tutti chiametanno Ratatouille

 

Il Castello dentro non è granché, ma vale la pena salire al primo piano per un panorama su Fantasyland

 

Un uccello su Orbitron

 

City Hall e Storybook Store

 

Slogan stupidi anche lì

 

Per chi si fosse trasferito da Parigi e avesse nostalgia delle sue architetture, il centro commerciale è il posto che fa per lui

 

Il negozio Lego (nel Village, nel parco non ci sono o quasi cose "reali"), pare il più grande d'Europa

 

Secondo me i mattoncini sono solo in un livello superficiale rispetto a una struttura esistente

 

Pezzi acquistabili al chilo, cioè in base a vaschette di due dimensioni

 

bookmark_borderCose nuove imparate in francese

Belle et le clochard è Lilli è il vagabondo (“tutte le ragazze si chiamano Belle”, cit.).

“Ciuccio” si dice tétine, ma ora scopro che il doudou è un’altra cosa, e allora potrei aver detto che non avevamo un doudou pensando che invece fosse un ciuccio.

Per il resto altre piccole cose, tipo sac à dos che è “zaino” (lett. “borsa sulla schiena”, ma la prima volta che qualcuno l’ha detto pensavo fosse un sac cadeau, cioè un’ipotetica borsa regalo) o gobelet (credo) che è “bicchiere di plastica”, più altre altre conferme, anche se mi sembra che in ogni negozio e in ogni periodo ci siano modi di dire diversi. Qui ad esempio si usava poco l’hop e il tac di abilità, che poi corrisponde all'”italiano” voila, che curiosamente lì praticamente non esiste.

Ho scoperto poi di questo monsieur-dame, che mi piace molto e può essere usato quando c’è ua coppia di interlocutori, anche se credo venga usato anche se c’è una persona sola.

Le abbreviazioni vanno sempre forte. Tra queste, oltre à tout [à l’heure] e bon app[etit] la novità di quest’anno è stata impecc[able].

Cose più culturali: i contatti fisici sono assolutamente banditi. Non esiste salutarsi dandoci due baci, né tra un uomo e una donna né figuriamoci tra due uomini, ma quello si fa in effetti solo in Italia. Al massimo ci si può dare la mano, nel senso proprio di stringersi la mano, senza sporgerla troppo rispetto al proprio corpo ed eventualmente dicendo [tu es] en forme? (“sei in forma?”). Questo comunque tra uomini, tra uomini e donne neanche quello, non ci si può toccare e basta.

bookmark_borderCose impagabili

Il sorriso dei bambini eccetera eccetera. E anche altre:

– Dare indicazioni, ed essere ascoltato con grande attenzione

– Essere parte attiva nella potenziale migliore giornata della vita di molti

– Avere a che fare solo con persone gentili, che siano ospiti o colleghi

– Poter essere gentile al massimo, innescando un circolo virtuoso di gentilezza senza che sia considerato troppo

– Essere pienamente nel meccanismo di un’organizzazione mastodontica e allo stesso tempo minuziosa

– Spiegare ai giapponesi in anglo-gestese come funziona lo sconto dopo un tot di spesa

– Andare in pausa dicendo “torno a [punto esatto di Disney Dreams!]”

– Stare in una stanza per la pausa con Disney Dreams! che si sente, e anche solo immaginarlo

– Avere patatine fritte in gran quantità gratis con qualsiasi piatto*

– Sapere di iniziare a un’ora, e finire a un’ora, e poterci costruire una vita attorno

– Parlare almeno quattro lingue ogni giorno

– Poter andare nel backstage

– Vedere al massimo una decina di auto ogni giorno

* Per la vostra salute, mangiate almeno cinque frutti e legumi al giorno (uno dei messaggi che compare obbligatoriamente sulle pubblicità alimentari in Francia)

bookmark_borderCome sta il parco

Bene, anche se per altre cose da fare finora l’ho girato molto poco. Certo, andandoci più e più volte ti cade l’occhio maggiormente sulla mattonella staccata, o sulla luce che non funziona. Sarebbe bello anzi fare una ricognizione a tappeto di tutte queste cose una volta per tutte, più per gusto statistico sul decadimento temporale che per poi effettivamente ripararle.

C’è poi sempre la parte ovest di Frontierland da tempo un po’ abbandonata, e anche la ristrutturazione fino a fine aprile di Indiana Jones ha reso meno interessante quella zona. Curiosamente, a molti Indiana Jones piace, addirittura non ricordo chi diceva che fosse la sua attrazione preferita.

A Discoveryland così come a Fantasyland tutto a posto. Credo di poter confermare che ora riescano a non chiudere prima il solo Peter Pan a causa di Disney Dreams!, ma tutta l’area sì. Questo è il principale sbilanciamento del parco, ma si saranno fatti i loro conti tra il dover chiudere anticipatamente ristoranti e negozi di quelle parti e tenere più gente concentrata fino alla chiusura.

Certo, c’è da dire che tutto il parco, organizzativamente parlando, è influenzato da questo spettacolo, e quindi inevitabilmente anche l’economia fuori dal parco lo è. Mi piace pensare che a partire del centro commerciale della cittadina accanto al parco e via via fino ai ristoranti di Parigi (quella città più grande a ovest del parco), sono in forme via via inferiori influenzati dal fatto che più gente rimane fino alla chiusura del parco.

bookmark_borderLa vita qui

A volte si è stanchissimi, lo avverti sopratutto quando si torna a casa. Ma proprio stanchi stanchi, da non poter fare più niente se non dormire. Bisogna però anche sapersi gestire e non passare davvero tutto il tempo a dormire, altrimenti si creano ulteriori disequilibri. Per me è da un lato facile perché devo fare anche altre cose, come scrivere sul blog, e quindi non mi lascio totalmente andare. Così come per il mangiare, anche lì si rischia di abbandonarsi ai peggiori istinti di patatine fritte, o addirittura di mangiare carne, cosa peraltro quasi difficile da evitare. Riesco abbastanza a trattenermi, ma fallisco miseramente sugli zuccheri.

Il fatto è che all’improvviso si viene proiettati in una vita completamente nuova, con ritmi e muscoli completamente diversi che si muovono rispetto al solito, e nuovi piccoli stress che serpeggiano e poi si pagano. Si apprezzano molto i giorni liberi, che sono tecnicamente vitali per recuperare la forma, in un senso molto più strettamente fisico di quanto si creda.

Partendo da questo, pensavo che in realtà una vita vera inizierebbe dalla terza settimana, seppure con la forte anomalia iniziale, da risolvere al più presto, di vivere a due metri da un’altra persona sconosciuta.

Basta poi che qualcuno dica che andrà al cinema la sera, una cosa da vita vera, e ti rendi conto di quanto la tua sia molto distante da esserlo. Vai al centro commerciale e sai che ci farai la spesa due o tre volte, vedi dei contratti telefonici e sai che non li farai, sai di dover fare alcune cose quella volta e poi mai più per quel giro, e così via per tante piccole cose, specie dopo che hai scollinato la prima settimana e devi davvero pianificare bene gli ultimi giri e le cose burocratiche della partenza. (Poi non vai neanche al cinema nello specifico, ma questo sempre per quelle altre cose da fare, che in effetti se non le dovessi fare a volte penso che già sarebbe molto diverso, oltre a non capire che non le deve fare come possa lamentarsi della sanchezza)

Si è anche molto soli, perché con nessuno riesci a stringere particolari rapporti visto che tra turni, pause e negozi diversi finisci davvero per non incontrarti mai, e figuriamoci poi per far coincidere questi orari con cose da fare all’esterno. Figuriamoci poi addirittura, tu meteora, frequentare una ragazza che sta qui da tempo. Insomma, va preso per quello che è. Annusi un po’ la situazione, hai un’idea di come potrebbe essere, ma poi bisogna rimanere con l’idea di non disfare del tutto la valigia.