Here I stand and here I stay (Resto qui, non andrò più via)

Eccomi qui sull’autobus che ti porta dagli uffici alle residenze. Sono già stato qui in realtà, sono stato a Disneyland per l’estate ma per qualche motivo non ho aggiornato il blog. Dopo un po’ però si perde la verve giusta del momento, quindi cerco di procedere in maniera schematica (che mi riesce bene), temendo però che invece di parlare di cose specifiche e puntuali si finisca per fare il temuto bilancio e prendersi sul serio. E a dire il vero sono anche tornato, sono qui ora, e ho fatto anche altre cose prima di Disneyland e in mezzo, per cui aggiornando il blog si violerà il criterio cronologico, e questo è anche male.

Primo meta-punto: forse l’ho anche fatto lo stesso il blog, ma in qualche gruppo su WhatsApp. L’energia di raccontare c’era anche, ma anche la comodità dei due click (tap) rispetto alle menate del blog, e questo è pure forse male e indice (letteralmente) dei tempi eccetera.

Qui è (era, ma progressivamente si perderà il passato sfumando verso situazioni attuali) tutto più… quadrato, più chiaro, direi anche semplice. Vai, fai, prendi un autobus, torni. Non c’è nessuno stress dovuto all’eventualità di chiamare la polizia municipale, nessuna strada che pensi di evitare perché sai che poi avrai lo stress di decidere di chiamare la polizia municipale. Ci sono anche proprio molti parcheggi e un qualsiasi orizzonte visivo è di poche macchine in generale, forse perché la polizia municipale fa il suo lavoro.

Stare due mesi non ha pesato, nel senso che alcune situazioni che intravedevo come potenzialmente noiose, tipo svestirsi e vestirsi due volte in più al giorno per cinque giorni alla settimana, o dire bonjour circa un migliaio di volte al giorno, sono scivolate via tranquille, trascinate da una certa energia generale.

Nel parco era tutto un Frozen, nonostante l’apparente bizzarria di proporre un siffatto tema invernale d’estate, ma tant’è. Ad Halloween propongono una strategica disintossicazione da Elsa e Anna (che continuo a pensare che abbiano i nomi al contrario, cioè Anna ha la faccia da Elsa, e viceversa) per poi riprendere in grande stile a Natale.

I colleghi sono sempre simpatici, e stando più tempo si accede a dei livelli di confidenza più alti, e questo va bene, anche se forse non a nuovi livelli. Poi magari dipende anche dai casi e dalle circostanze casuali, uno in un giorno può farsi dieci nuovi amici o non farsene nessuno in un mese.

Mi soffermerei sull’elemento del lavoro per dire che c’è una parola che sintetizza bene tutto, e questa parola è “rispetto”. Oltre al rispetto formale di procedure, orari, e tutto ciò che deriva dall’organizzazione di base e riduce anche di molto il margine per manovre strane, direi che c’è anche un rispetto “orizzontale” per cui mai, ma davvero mai, mi sono trovato in situazioni nelle quali un qualsiasi collega mi abbia affidato qualcosa di più fastidioso o faticoso approfittando del fatto che fossi il “nuovo”.

Anzi, forse succedeva addirittura il contrario anche forse solo per evitare che potessi pensare che. E quando in una logica puramente organizzativa mi veniva affidato qualche compito, era tutto un fiorire di “merci” o di richieste che tutto andasse bene. Probabilmente rispetto chiama rispetto, e vedendo che io ne avevo verso di loro (andando lì, sforzandomi di parlare francese eccetera) allora il resto viene da sé.

Giusto un episodio, in questo caso come applicazione pratica del rispetto in senso “verticale”: c’era stato uno sciopero improvviso della RER (il treno che porta al parco), e molti prendono la RER per tornare a casa. A vari livelli, quando si è diffusa questa notizia in mezzo pomeriggio mi avranno chiesto tre volte se dovessi prendere la RER per tornare a casa, ed era tutto un combinare passaggi e chiamare taxi (pagati dal parco) perché nessuno rimanesse a piedi. Nel backstage, c’era anche un autobus con scritto “Service Special”, che immagino avrebbe poi fatto il percorso della RER.

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