Assi nella manica

Il Tunnel sotto la Manica è quanto di meno celebrativo ci sia al mondo. Si entra in una galleria, e quello è. Non ci sono musichette, non ci sono scritte nel treno con la foto dell’inglese e del francese che si danno la mano, né pannelli di annuncio alla stazione tipo “Parigi, h. 13.31. Ma-vi-rendete-conto-che-ci-arriviamo-in-due-ore-passando-sotto-il-mare?” (a proposito, nella stazione c’è tutto un inizio di piccoli materiali di Disneyland, cose che io so si vendono solo nel parco. Gente inglese che ci torna, posto che volendo ci sono anche dei treni diretti, tra i tanti che percorrono la Manica).

Solo una paginetta sulla rivista di bordo che spiega in quale strato di calcare stiamo passando, e un opuscolo con le istruzioni di sicurezza generali, che tra le altre cose dice cosa fare in caso di evacuazione. Tutti ovviamente sperano fortemente che il treno si fermi lì sotto, almeno per un po’, per poi passare al tunnel di servizio e prendere un altro treno, con tante scuse bilingue. Lì si potrebbero vedere un sacco di cartelli speciali, lucine e cose varie, e forse avere anche uno snack gratis, ma questa cosa non succede mai.

Forse, proprio all’uscita, ho intravisto un piccolo muro con scritto qualcosa (tipo: “rispetta il mare, passa sotto-terra”), ma probabilmente era per gli automobilisti. I loro grandi parcheggi però un po’ si vedono. Non c’è invece traccia della Giungla di Calais, che ignorantemente non sapevo fosse stata sgomberata da 4 anni, e in ogni caso dubito si vedesse dal treno.

Il treno in sé è un po’ anni ’80-’90, da alta velocità che ne ha viste tante. L’interno è un po’ squadrato, spigolosetto e grigietto, più efficiente che fashion e tondeggiante come li fanno ora i novellini dell’alta velocità. Scopro poi da Wikipedia, in una momentanea passione sull’argomento, che non si chiama Eurotunnel, ma Tunnel della Manica. Non si è mai chiamato Eurotunnel, che è il nome della società che lo gestisce. Curioso destino della parola “Euro”, che tende a essere appicicata dove non dovrebbe. Come per Euro Disney, che al limite si è anche davvero chiamato così per un paio d’anni, qui neanche.

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