Non capirci un tubo

Mi sono parzialmente riconciliato con i trasporti pubblici di Londra, dopo che l’ultima volta avevo pagato la tariffa massima per non aver timbrato il biglietto in uscita. Per timbrare si intende passare la carta magnetica in posti nascostissimi, dove peraltro quasi nessuno la passa perché si sono dottorati in analisi numerica e hanno capito quale abbonamento scegliere.

Questa volta ho capito, ho chiesto, ho verificato, però resta comunque tutto abbastanza poco amichevole, a cominciare dall’imperdonabile scelta di chiamare le linee con dei nomi (comodo, per i giapponesi), fermo restando che ci sono anche i colori, ma non hanno senso se le linee diventano molte, perché i colori tendono a somigliarsi (“prendi l’azzurra, poi cambia con la blu”).

Sugli autobus, che peraltro costano meno, nientissimo da dire. Mi piace quando si infilano in quelle stradine dove semplicemente è previsto che possano passare, anche se di poco, e quindi ci passano, senza imprevisti solo italici di cose sporgenti tipo auto o altri arredi urbani abbandonati.

Però tutta la questione dei trasporti mi fa interrogare sul perché centinaia di migliaia di persone vengano qui, intendo con prospettive di semi-stabilità ben consolidate nell’espressione “andare a Londra”. È la cosa più simile a New York che ci sia in Europa, va bene, però ti ciucci tutto quello che guadagni in trasporti (e mangiare), no? O forse i salari sono veramente molto alti ed evidentemente ce la fai.

Oppure vengono proprio perché ci sono già altre centinaia di migliaia di italiani che parlano dialetti incomprensibili e sono vestiti da italiani a Londra, ovverosia con un cappello di lanetta che ricasca un po’ all’indietro e pantaloni aderenti in basso? Questa, semmai, mi pare un’aggravante.

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