Bonjour

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Che poi non è neanche il bonjour in sé, detto in qualsiasi possibile circostanza e a qualsiasi ora del giorno, ma quella specie di doppio colpettino di testa che fanno soprattutto gli uomini, in quanto maschi alpha del gruppo, per dire che è tutto a posto. Il primo parte già dalla prima “o”, il secondo più o meno sulla “u”. Sorpresomi qualcosa volta a fare anche io il colpettino di testa, ho deciso che non lo farò più.

Questo è il bonjour più secco e generico. Poi c’è quello più per il bambini: bonjooouuur, e una variante del primo con maggiore accento sulla prima “o”, allungandola e “canzonandola” anche appena: bo-onjour.

Ma la questione irrisolta è: bisogna dire bonjour a tutti i membri di una famiglia/gruppo che entra, e au revoir quando esce, o vale anche uno generico? E se però uno è voltato e non sente o vede che stai facendo il colpettino di testa (che comunque implica sempre prima un micro-secondo di contatto visivo), e magari è anche del control qualité? Penso che la risposta a questa domanda sia che bisogna valutare caso per caso, ma a volte ti senti come in un videogioco sparando i vari bonjour singolarmente e sperando che vadano a segno.

Intanto gli inglesi/americani dicono sempre “hi”, più che “hello”, gli spagnoli “hola” (quindi la ragione del dare sempre del tu non è nel calvinismo), e ho scoperto che in svedese si dice “hej” (acca aspirata e l’ultima si legge “i”), uno svedese me l’ha detto perché pensava l’avessi salutato così. In realtà era un “hi” fatto su deduzione di non-francesità da come parlava al figlio. A proposito, tutta un’altra questione è se si possa dare per scontata la nazionalità in base a elementi esterni (tipo – ehm – l’obesità degli americani, o le giacche in più degli italiani), o se si debba presumere una francesità iniziale per tutti, e poi si decide quando si inizia a parlare.

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