Qualche cosa imparata di più sul francese

Allora, sui prezzi e cosa da dire ai bambini per stare buoni sono preparatissimo, e anche la paura per il “novanta” come “quatre-vingt-dix” (che scopro ora non si scrive “quatre-vent”) è solo un lontanissimo ricordo, anche se il molto più raro “settanta” come “soixante-dix” non lo possiedo ancora appieno. Credo addirittura in alcuni rari casi di riuscire a orecchiare qualcosa, e capirla, anche senza vedere la persona.

Per il resto, continua a imperversare il “s’il vous plaît” anche nella più antipatica variante “s’il te plaît” che non dirò mai, è davvero troppo “su, ci sbrighiamo qui?”. Esiste comunque tutto un mondo di imperativi gentili, se ho ben capito, che prevedono il “tu”. “Tu fai questo”, “tu vieni con me” oppure addirittura personali: “ti aiuto?”, “io lo faccio”, che probabilmente alimentano quel mondo di equivoci che le fanno sembrare all’orecchio italiano come espressioni più scontrose.

Ci sono poi delle abbreviazioni speciali, tipo “à tout” che essere un’abbreviazione del più macchinoso “à tout à l’heure“, che significa “a presto”, o “bon ap“, per “bon apetit“. O anche l’intramontabile “truc“, che significa più o meno “tutto ciò che non ha un’altra parola per essere detto, o se ce l’ha non mi va di pensarla”. Il problema è che se accedi a questo linguaggio abbreviato significa che devi possedere tutto il resto, mentre io non so neanche come si dica “calzini”, e l’effetto sarebbe ridicolo.

Questione “bonjour“, ancora irrisolta: non è così verò che si debba dire sempre, anche a tarda notte. Si può dire sempre, ma si può anche dire “bonsoir” (ma non “bonsoir” di giorno). Mi ero messo come regola che dopo la parata avrei cominciato a dire “bonsoir“, prima “bonjour“. Però quando un guest ti dice “bonjour” prima di te (ahi, beep beep, “male” per il control qualité) poi sembra che lo vuoi correggere, e se ho ben capito non vale la regola spagnola che ci si saluta in un modo diverso da chi ha fatto il primo saluto (adiós <–> hasta luego). D’altra parte, è anche avvenuta in un paio di occasioni la correzione al contrario, cioè dal “bonjour” mio c’è stato un “bonsoir [eh eh]”, come a dire “[bonjour?] Bonsoir [piuttosto]”.

Non si è neanche capito se incrociandosi veloci si possa fare direttamente il saluto di congedo (come in spagnolo), invece di quello di entrata sempre e comunque (come in italiano, seppure con l’intercambiabilisimo “ciao”). Però mi sembra che “bonne journée” vada bene come cosa unificata.

S’appelle reviens” è il nostro “si chiama Pietro [perché torna indietro]”. C’è anche un episodio psico-sociale attorno a questo. Mi hanno prestato un taglierino dicendomi questa frase, ma in modo un po’ veloce e un po’ girati. Allora io ho chiesto “come si chiama?”, ma avevo capito benissimo che era quella cosa lì, cioè il “torna indietro”, e non volevo sapere come si chiamasse il taglierino (cosa che tuttora non so). Però un altro che era lì ha detto “no, niente niente”, perché nella fretta degli imballaggi sarebbe stato troppo lungo spiegare anche tutta la storia del “si chiama Pietro” in versione francese (neanche troppo lungo, a pensarci bene), forse neanche sapendo che c’è anche in italiano.

Questo è un tipico caso di slittamento tra pensieri e parole, tra sembrare meno intelligente di quello che si è per colpa della difficoltà di comunicazione, che non permette di accedere a un mondo di concetti e idee più avanzate di “prendo questo?”, “vado lì?”. Anche con i guest è un forte limite, per non parlare dei bambini con i quali ancora meno puoi rischiare di non farti capire (e hai paura che loro parlino un linguaggio bambinescamente incomprensibile). La comunicazione è importante. Ah, quante battute geniali rimaste lì (forse non è un male) per paura non tanto che non venissero comprese, ma che sembrasse troppo preparata o “avanzata” detta da uno che non sa pronunciare bene i prezzi. Forse mi dovevo buttare un po’ di più, però una volta mi sono lanciato in un “avant-dernière” per indicare il negozio di caramelle, il penultimo di Main Street, e sembra che si dica veramente così (quando do le indicazioni divento un’altra persona).

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