Soglie di compromesso italiche

Ovvero, quelle piccole scelte adattative di fronte a soprusi e ingiustizie che subiamo ogni giorno, dati più che da disorganizzazione storica cronica che da cattiveria. Difficili spesso da inquadrare, soprattutto nell’agitazione che provocano nella prospettiva di affrontarle più che dopo, ma forse con un esempio è più facile.

Il primo macro-compromesso è che Mirabilandia dovrebbe avere una monorotaia, o un treno sotterraneo, che va dalla stazione più vicina al parco. Non c’è la monorotaia, ma c’è un bus navetta mezzo disastrato e sporco (tanto mica è la prima cosa che uno vede del parco, il biglietto da visita). Ci si sale affrettando un po’ il passo appena scesi dal treno, cosa che pensi di fare già dal treno, e a farne le spese è una più macchinosa simil-scolaresca.

Dentro il parco c’è molta gente, ma con un pazienza si riescono a fare le cose principali. Solo, inizi a fare dei calcoli per come chiudere la giornata. I calcoli su come fare le ultime attrazioni sono però anticipati da quelli per prendere la navetta del ritorno, e da quelli su come recuperare lo zaino, che è sì in un armadietto esterno ma c’è la cauzione da recuperare, e quando l’hai lasciata la situazione era abbastanza affollata.

Il ritorno all’armadietto invece si risolve in un secondo (passo un sacco di tempo ad arrivare in anticipo nei posti, prendendo per sicurezza un autobus prima, che è il regno dei compromessi), e allora forse potevo rimanere sulla fila di iSpeed, abbandonata a metà per paura che fosse tardi. Ma non posso neanche tornarci, perché in Italia c’è questa abitudine che l’ora di chiusura del parco sembra indicare l’ora in cui i dipendenti sono tornati a casa e si sono fatti un piatto di pasta, invece che l’ultimo momento utile per mettersi in coda. E quindi le file chiudono x minuti prima, in questo caso 30.

Insomma, c’è addirittura quasi tempo per prendere la navetta precedente, ipotizzando che quella successiva fosse ancora più piena, ma anche questa in realtà lo era. Assisto solo alla scena di un ragazzino che sembrava uscito dal casting di Gomorra mentre prendeva di peso un suo amico per portarlo dentro, tra proteste varie (era settembre, cosa succede ad agosto? Si sfiora la rissa ogni giorno?). Non c’era più fila, né niente, ma una piccola folla di gente rimasta fuori sarebbe rimasta lì per aspettare la successiva.

Allora l’alternativa era rischiare di sgomitare e alzare la voce anche alla successiva? Meglio farsela a piedi, che è il principale compromesso di questa storia. In questo caso non come agitazione preventiva ma come scelta di sconfitta, di male minore rifiutando a priori le “regole” della competizione, o addirittura la prospettiva di far valere un diritto (per evitare di saltare sulla sedia a ogni citofonata, ho pagato il canone Rai pur avendo il televisore completamente scollegato dall’ultimo giorno utile per pagarlo, ma ora lo regalo ufficialmente mandando la raccomandata).

Arrivo esattamente in coincidenza con l’autobus che avrei dovuto prendere, per quello strano equilibrio magico in cui poi alla fine te la cavi lo stesso, seguendo però percorsi non ordinari e non programmabili. Era importante arrivare presto, perché poi poi il biglietto del treno sarebbe stata una nuova storia (agitazione preventiva). E infatti alla stazione non c’è modo di farlo, tra macchinette mezze scassate e bar sprovvisti. Alla fine, in un rarissimo momento di non rispetto delle regole faccio per la prima volta in vita mia 5 minuti di treno senza.

Poteva andare peggio, perché la via Romea non è esattamente un luogo per camminare, ma a chi devo però addebitare la bronchite che mi sono preso dopo, probabilmente per aver passeggiato su statali romagnole con la maglietta mezza bagnata? Con il tipo uscito da Gomorra? Con Mirabilandia? Con l’Italia? Con gli italiani?

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